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Trent'anni di The Wall

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Messaggio  Admin Sab Mag 29, 2010 8:31 am

Da Repubblica ....Il fondatore dei Pink Floyd ripropone una monumentale versione del celebre album del 1979. "Oggi le storie non diventano opere". "Torno in scena per celebrare tutte le vittime innocenti di questi anni, dal nostro inviato GIUSEPPE VIDETTI

LONDRA - Suo padre, Eric Fletcher Waters, morì ad Anzio nel 1944. Roger aveva cinque mesi. Quell'assenza e l'infanzia traumatica avrebbero condizionato tutta la sua opera, con i Pink Floyd e dopo. Più incline all'opera che alla canzonetta, Roger Waters ha composto autentiche pietre miliari del rock che, dopo lo scioglimento dalla storica band nel 1984, ha rivendicato come sue a colpi di carta bollata. Appena quattro anni fa ha risuonato per intero la saga di The dark side of the moon e ora si appresta a riproporre una nuova, monumentale versione live di The wall, l'album concept che nel 1979 segnò una tappa fondamentale nella carriera dei Pink Floyd e trent'anni fa l'inizio di un tour con effetti scenici e teatrali che prosciugarono le finanze del gruppo. Dopo l'omonimo film di Alan Parker, The wall fu rappresentato da Waters a Berlino nel 1990 in occasione della caduta del muro davanti a 500 mila persone. La nuova produzione debutterà a Toronto il 15 settembre e arriverà al Mediolanum Forum di Assago l'1 e 2 aprile dell'anno prossimo (biglietti in vendita dal 3).

"La paura alza i muri", è scritto in un graffito a Gerusalemme", raccontava ieri Waters - che assomiglia sempre più a Richard Gere - durante la presentazione del nuovo progetto, a Londra. "Il mondo è ancora pieno di muri. C'è un muro che separa i ricchi dai poveri, un muro tra il primo, il secondo e il terzo mondo, ci sono muri che dividono la gente a causa del loro credo e della loro ideologia. Il motore di The wall fu il ricordo di mio padre morto in guerra, ma ci sono ancora tanti papà impegnati nei conflitti, molte famiglie, soprattutto negli Usa, che hanno perso parenti in Medio Oriente e anche tante famiglie che piangono vittime civili. Oggi chi ha alle spalle una storia come la mia non scrive The wall, va a raccontarla nei reality show, in cerca di quindici minuti di celebrità. Si diventa famosi senza saper far nulla, non c'è più bisogno di saper recitare, cantare o che so io. Al contrario, è la totale mancanza d'immaginazione a creare il personaggio. La tv... il vero oppio dei popoli. Foraggia consumismo e propaganda. Crea dipendenza".

Dunque l'opera è più attuale oggi di quando fu concepita?
"Decisamente. Nonostante i social network, la gente non riesce ancora a comunicare e a scambiarsi le idee. Nazionalismo, razzismo, sessismo e religione generano le stesse paure che hanno paralizzato la mia infanzia. Oggi quando canto Another brick in the wall part II penso all'inutilità delle guerre. Mi chiedo, che stiamo a fare in Afghanistan? Cosa siamo andati a fare in Iraq? Tutto gira sempre intorno alla conquista, al potere, ai soldi. Dagli antichi romani a oggi, passando per l'imperio britannico. Sono perfettamente d'accordo con la teoria di The hurt locker (il film Oscar di Kathryn Bigelow): la guerra è una droga".

Riproporre uno spettacolo così complesso, rivisitato in un'epoca in cui la tecnologia ha fatto passi da gigante, la rende nervoso?
"Nervoso? Eccitato direi. In fondo lo scopo è sempre quello: cercare di emozionare la gente. È vero, la tecnologia è cambiata dal 1980, ma sostanzialmente lo spettacolo è lo stesso. Credo che mi sorprenderò anch'io la sera della prima davanti a quel muro di 73 metri che all'epoca per limitazioni tecniche lasciavamo parzialmente in ombra e oggi vedremo completamente illuminato e bersagliato da mille proiezioni".

Che cosa si aspetta da questa nuova avventura, ora che ha messo una certa distanza tra lei e il rock componendo un'opera lirica come Ça ira?
"Riporto The wall in scena per cercare di creare un parallelo tra l'epoca della mia infanzia e il nuovo millennio, per illuminare il mondo sulla condizione in cui vive e celebrare tutte le vittime innocenti di questi anni. Alcuni sostengono che l'uomo è incapace di sviluppare un comportamento più umano, generoso e cooperativo con i propri simili. Io non sono d'accordo. Possiamo aspirare a qualcosa di meglio di questa rituale mattanza con la quale rispondiamo alla paura dell'altro. Per citare il grande vate (John Lennon): "Potete dire che sono un sognatore, ma non sono l'unico"".

Ora che vive a New York, come le sembrano l'Inghilterra e l'Europa viste da lontano?
"Come un posto dove, tristemente, i principi della sinistra e del socialismo - da Margaret Thatcher a David Cameron - stanno annegando. Tony Blair ha ribadito il principio che per essere un grande leader bisogna buttarsi nella mischia e uccidere - nonostante il 75 per cento della popolazione fosse contrario all'intervento in Iraq".
E con gli altri Pink Floyd? Dopo il riavvicinamento al Live Aid niente più rancori?
"Mi è capitato d'incontrare Nick (Mason) dopo quel concerto che mi ha toccato il cuore. Con David (Gilmour) mi scambio qualche mail. Credo di non avere più il suo numero. Quando avrò finito questo tour avrò quasi 70 anni, non spererete mica in una reunion?".

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